18.2.09

Un lavoro usa e getta


Nella sua opera scientifica, Karl Marx aveva definito il lavoro operaio come "merce". Oggi, più opportunamente, "il lavoro dipendente" dovrebbe essere definito come "merce usa e getta". L´analisi marxiana sulla "svalorizzazione del mondo umano" e sulla "alienazione del lavoro", oggi dovrebbe essere integrata dal nuovo fenomeno "dell´insicurezza e della solitudine umana", come prodotto della "precarizzazione del lavoro". Grazie alla riforma intitolata a Marco Biagi, Silvio Berlusconi, con tutta la sua potenza comunicativa, ha annunciato che "il mercato del lavoro italiano è ora tra i più flessibili d´Europa". Il capo degli industriali gli ha fatto eco con un grande applauso. In effetti è proprio così. Ma, ai giovani, si vuol far credere che il lavoro flessibile non coincide più con la precarietà. E questo non è affatto vero. È una bugia grande come una casa. Esaminiamo le novità introdotte dal decreto attuativo e scopriremo che i "nuovi lavori" sono esempi classici di "lavoro usa e getta", aggraziati con termini inglesi ma senza protezioni di sorta. Il job on call (il lavoro a chiamata): sono i "lavoratori squillo" perché devono essere disponibili ad ogni momento ,con un semplice "squillo di telefono", a svolgere un lavoro di durata assolutamente imprevedibile. Oltre alle ore di lavoro è prevista un´indennità di disponibilità ancora tutta da verificare. La vita di questo giovane lavoratore sarà un´attesa continua "dello squillo" che lo chiamerà al lavoro. Francamente non pare una bella prospettiva. Il job sharing (il lavoro ripartito): un posto di lavoro potrà essere suddiviso fra più lavoratori. Una paga intera è spesso già insufficiente per vivere dignitosamente. Figuriamoci se deve essere divisa fra due o più lavoratori. Lo staff leasing (l´affitto di manodopera): teoricamente potrà dare origine ad un nuovo tipo di azienda "senza dipendenti", non perché i lavoratori sono sostituiti dai robots, ma da intere staff di lavoratori in affitto che tali possono rimanere per sempre. Dove siano le maggiori garanzie per questi lavoratori proprio non è dato di sapere anche se limiti e criteri dovranno essere affrontati nei contratti nazionali. Il lavoro occasionale: consente lo svolgimento di "piccoli lavori occasionali" con dei "bonus" comprensivi anche della contribuzione previdenziale. Una facilitazione, ma niente di più. Si è detto che spariscono i CO.CO.CO. (i collaboratori coordinati continuativi), il lavoro atipico per eccellenza dei nostri giovani, l´esempio più emblematico della precarietà. Ma è solo una finzione. A cambiare è solo il nome. Ora i CO.CO.CO. diventano "lavoratori a progetto", termine più accattivante. L´obbligo di un contratto scritto è sicuramente molto importante, ma non sufficiente a superare precarietà, abusi, assenza dei diritti e ad una pensione che non arriverà mai. La privatizzazione del collocamento sarà pressoché totale. Con una situazione del genere, con i sindacati che non si interessano (almeno una volta scioperavano) e un PD che latita (preferisce criminalizzare il Premier piuttosto che fare opposizione), in un periodo di recessione mondiale nessuno si azzarda a fare previsioni: "Mala tempora currunt..."


10 commenti:

  1. a suo tempo scioperammo:
    due sindacati smisero subito, non appena il governo dimostrò una qualche disponibilità a parlarne. un terzo andò avanti con gli scioperi. e anch'io, con loro. ed ero l'unico in un ufficio di 18 persone, di cui alcuni giovani. forse qualcuno mi guardò male o forse no, ma non importa. intanto il tiggì fece passare l'idea che fosse solo contro la modifica dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori per le piccole aziende.
    non era vero. si parlava dell'intera riforma.
    poi però il segretario di quel sindacato che continuò a scioperare se ne andò. disse che tornava a lavorare, ma poco tempo dopo divenne sindaco di una grande città. ma intanto la riforma era passata. (le basi però furono poste dalla riforma di tiziano treu.

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  2. @ frank

    concordo con quanto dici, il "cinese" aveva preso per i fondelli pure noi ma siccome eravamo in una grossa azienda e la "commissione interna" aveva le "palle" non abbiamo fatto passare mai niente oltre il dichiarato esplicitamente: "il numero dei precari non deve superare il 25% degli occupati" altrimenti assumere. Mi ricordo che i contratti più che sugli aumenti salariali (anno 2002)vertivano sul numero di interinali che l'azienda assumeva e entro quanto tempo. Da noi vigeva il discorso: "tu mi dai na cosa e mè e io ne dò una a te"... abbiamo sempre avuto dei buoni risultati...

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  3. da me (era un'azienda di 130 dipendenti), mentre eravamo in sciopero sapevamo che i reparti funzionavano quasi regolarmente grazie alla "carovana" (operai esterni mandati da una cooperativa)

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  4. spesso si parla di "lavoro" con troppa facilità..
    si parla di cose di cui non si conosce nulla..
    bel post enio, inquietante..ma riflessivo

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  5. @ Ale

    I credo che sia più corretto dire che oggi siamo fra i primi in Europa per precarietà. La criminalizzazione dell´art.18 (giusta causa per i licenziamenti) scatenata a suo tempo dal Governo e dalla Confindustria, appare quindi in tutta la sua strumentalità. È servita per spaccare il movimento sindacale, ma non era la causa della rigidità del mercato del lavoro italiano. L´articolo 18 viene svuotato nei fatti. Perché il diritto "alla giusta causa" è negato ai lavoratori atipici e le aziende con i trasferimenti di impianti e lo staff leasing possono diventare "più nane" e andare più facilmente sotto la soglia dei 15 dipendenti dove lo statuto dei lavoratori non è efficace. Il "nanismo" delle aziende è un punto di debolezza del sistema italiano. Anche se si vuol far credere il contrario, il nodo fra flessibilità e precarietà del lavoro senza (o con meno) diritti rimane come prima. Se oggi siamo primi in Europa per flessibilità è anche vero che lo siamo per precarietà. Il processo di umanizzazione del lavoro e dell´equilibrio del rapporto fra doveri e diritti, frutto di due secoli di lotte sociali, si è interrotto. Il ruolo di rappresentanza sociale e contrattuale dei sindacati è messo in discussione . Il lavoro come attività essenziale e progetto di vita della persona sta scomparendo. Il valore del lavoro, la sua capacità di coesione sociale si frammenta in un caleidoscopio di interessi individuali. Nei luoghi di lavoro, la solidarietà fra i dipendenti è stata cemento sociale della coscienza civile e democratica del Paese. Ora nelle imprese, sotto lo stesso capannone prolificano le figure professionali atipiche (ce ne sono più di 30) che rispondono a interessi individuali e "vincoli padronali" diversi.

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  6. il lavoro ha perso dignità, da quando sono i terzi a venderlo, è un moderno capolarato..

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  7. Ci fregano con le parole, come hanno sempre fatto e adesso hanno anche l'ausilio della lingua inglese.

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  8. @3my78

    Io mi chiedo fino a che punto un´organizzazione del lavoro così disarticolata possa servire alla qualità e all´efficienza dell´impresa. Quello che è certo è che alle nuove generazioni viene impedito un progetto di lavoro su cui costruire ,come si faceva una volta, con un margine di sicurezza, il proprio progetto di vita. Di sposarsi, di fare il mutuo per la casa, di avere dei figli . Insomma di farsi una famiglia in condizioni normali. La generalizzazione della precarietà, dell´insicurezza di un lavoro senza diritti è destinata a diventare un problema sociale traumatico dagli esiti imprevedibili.E quello che mi fa inca**are e che nessuno oggi fa niente sia che a governare ci sia la destra sia che ci sia stata la sinistra...

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  9. hai dimenticato una categoria... quella dei lavoratori in nero che lavorano "o così o niente, se non vuoi dillo che chiamo un altro"

    buon lunedì

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  10. "...un paese dove il più caro amico di uno dei leader che simboleggiò la corruzione della classe politica del paese diventò l'uomo più ricco, l'imprenditore più famoso, il premier più amato, il leader di partito più votato; il segretario dell'ex partito neofascista diventò presidente della camera, terza carica della stato; uno dei dirigenti dello stesso partito fu eletto sindaco della capitale; l'opposizione fu sciolta in modo democratico e le venne affidato il compito di autodistruggersi; gli ultimi dirigenti di quello che fu il più grande partito comunista dell'Europa occidentale lasciarono spontaneamente la guida a un uomo della Democrazia Cristiana, il loro avversario storico; il resto della sinistra si divide così tante volte che alla fine raggiunse proporzioni omeopatiche; a raccoglierne l'eredità fu soprattutto un magistrato; intanto il tutto il paese si diffuse il fenomeno delle ronde. Ma è quello che venne dopo che fa paura." Giovanni de Mauro

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