26.12.16

Chieti - I mestieri di una volta




Mestieri che scompaiono, abitudini che scompaiono anch'essi. La tecnologia ha sollevato tutti dalla fatica più dura. Le donne che portavano ai mariti in campagna "lu cumberzjone" avvolto nel tovagliolo di cotone bianco, oggi lavorano in fabbrica o nei grandi magazzini e si spostano sempre più in centri più grossi, inserendosi in un mondo che fino a pochi anni fa era un'esclusiva solamente maschile. Qualcuna, sopratutto nei paesi più decentrati, continua a fare la casalinga ma con una consapevolezza diversa, l'essere "la regina del focolare" non le basta più e al titolo onorifico preferisce il titolo di lavoratrice. Un tempo in paese il prete, il medico, l'ostetrica erano le persone di riferimento, il pronto soccorso dell'anima e del corpo e la chiesa si poteva ben chiamare la casa per tutti. Le donne a messa, prima di potersi dedicare poi alla casa, gli uomini più tardi e col vestito della festa. Per un giorno si dimenticavano campi e officine e la piazza raccoglieva le fatiche di una settimana. Mi ricordo, quando a Pasqua, bisognava fare la comunione, mamma, con quanta energia ci spingevi ad andare in chiesa. Io e papà, visto che ci confessavamo e comunicavamo poco durante l'anno, andavamo alla chiesa dei frati, sai quelli dalla manica larga, quelli che capivano e lasciavano anche correre qualche peccato e ti davano comunque l'assoluzione, anche se non si ricordavano per filo e per segno tutte le preghiere. Che figuraccia, sopratutto quando alla fine, prima della penitenza, che immancabilmente ci sarebbe stata, si doveva recitare l'Atto di Dolore. Oggi in alcune chiese è attaccato un foglio, scritto abbastanza grande, che ognuno può leggere, standosene in ginocchio nel confessionale. E poi se volevamo mangiare il tacchino e le cose buone che ci avevi preparato ti dovevamo spiegare la predica che era stata fatta quel giorno e che tu già conoscevi in quanto eri stata a messa molto prima di noi, a quella delle 6 e 30. Papà prima di tornare a casa di solito si fermava a farsi un bicchiere di vino all'osteria, quello speciale, perché era quello della domenica e lo si beveva con gli amici. Si comperava anche un pacchetto di alfa e si ritornava a casa con il coraggio rinnovato per affrontare la fatica della settimana che sarebbe venuta poi. La domenica, come se si facesse un rito, a tavola, la pasta poteva sempre contare su qualcosa in più del sugo rosso di conserva che era condimento usuale o degli spaghetti scotti, come si usava allora. Si era magari preparata fin dalla mattina la "pasta alla chitarra" quella fatta in casa con un bel paio di uova fresche e come condimento c'era magari il sugo del tacchino arrostito nel forno. Oggi il vento della novità spazza via tutto il passato, un intero secolo, difficile, complesso, contradditorio, un secolo che ha camminato lentamente e ultimamente ha corso a perdifiato. Un secolo che valeva la pena di essere vissuto.

@enio

2 commenti:

  1. Quella pasta condita con la conserva, rigorosamente preparata in casa quando maturavano i pomodori, mi manca parecchio...
    Anche se da noi era più frequente il risotto.
    Il riso portato a casa, come paga per il lavoro svolto, da chi, facendo chilometri a piedi fin nel Vercellese, andava a mieterlo all'inizio dell'autunno.

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  2. io son dovuto emigrare a Milano nel 66 per lavoro, al sud non ce n'era proprio. Si poteva solo lavorare con la zappa.

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