8.11.09

Addio Alda poetessa dei "versi volanti"


Alda Merini è stata sicuramente la poetessa più conosciuta dal pubblico italiano non "specializzato". Nella sua vita non si è mai sottratta alle insistenze del mondo mediatico, che l'ha sempre interpellata un pò cinicamente per l'esperienza dolorosa del manicomio, che fu costretta a vivere per circa un ventennio, diciamo dalla raccolta poetica "Tu sei Pietro" (Scheiwiller, 1962) fino alla "resurrezione" di "La Terra Santa" (Scheiwiller, 1984): un ventennio che coincide simmetricamente con un triste silenzio poetico. Scoperta giovanissima da Angelo Romanò e da Giacinto Spagnoletti, pubblicò presso il geniale editore Schwarz il suo primo libro nel 1953, "La presenza di Orfeo"; libro che fu molto apprezzato da critici e poeti quali Salvatore Quasimodo, David Maria Turoldo, Pier Paolo Pasolini. Poi, dopo il silenzio della malattia e del manicomio, Alda Merini ha vissuto un sempre crescente successo. Tra le opere del dopo "resurrezione" citiamo almeno "Testamento" (1988), "Ballate non pagate" (1995), "Superba è la notte" (2000), "Più bella della poesia è stata la mia vita" (2003), "Clinica dell'abbandono" (2004), "L'anima innamorata" (2000), "Corpo d'amore. Un incontro con Gesù" (2001) e "Magnificat. Un incontro con Maria" (2002). Un momento di grande attenzione intorno all'opera e alla vita di Alda Merini è si è avuto nel 1986 con la pubblicazione del diario "L'altra verità. Diario di una diversa", pubblicato prima da Scheiwiller e poi da Rizzoli; libro in cui la poetessa milanese parlava apertamente del suo inferno mentale, primo di una lunga serie di libri in prosa. La poesia e la scrittura di Alda Merini - al di là dei tanti riferimenti alla tradizione biblica e religiosa - è sempre stata una poesia "semplice" (non facile), che in qualche misura la legava a un'altra poetessa contemporanea molto popolare, ovvero a Wislawa Szymborska, premio Nobel nel 1996. In più, rispetto alla Szymborska, la Merini aveva questa generosità (e anche fragilità) di farsi invadere dal sistema mediatico, che più volte, a onore del vero, ha provato a trasformarla in un fenomeno da baraccone, sia interrogandola sul suo vissuto, sia gettandola al centro di polemiche pretestuose (l'ultima è stata quando la Merini, due anni fa, ha minacciato di farsi esplodere in aria, e l'Aem di Milano le ha staccato il gas). A Milano, che non riconosceva più, dedicò questi pochi amari versi (in "Canto Milano"): "Milano è diventata una belva / non è più la nostra città, / adesso è una grassa signora / piena di inutili orpelli". Pure, la Merini, a differenza dei poeti italiani, donava "poesie volanti" a chiunque gliene chiedesse, tanto che sarà arduo, un giorno - se non cadrà il silenzio sulla sua opera ora che è venuta a mancare la poetessa - mettere ordine nelle sue carte, che sono disperse, oltre che nei tanti libri, anche in giornali, riviste e minuscole plaquette. Comunque è molto vasto il repertorio tematico della Merini, anche se il tema dominante della sua opera rimane l'amore carnale e materno: l'amore ferito a morte in mille modi diversi. Con Alda Merini muore una poesia vissuta come vocazione totale, una poesia esposta, sincera, indifesa, donata al mondo con il cuore aperto. Speriamo venga letta anche ora che non c'è più.


2 commenti:

  1. peccato che di lei ci si è accorti, a livello nazionale, solo in questa occasione !

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  2. “Son Diana folle, invitta cacciatrice,
    e chi pensa di me ch’io tema il freddo
    ha una folle paura della vita.
    Ho un desco puro senza sentimento
    pane azzimo al posto del calore:
    tutti mi hanno adorato e dopo spenta,
    spenta con chiare e duttili calunnie
    sopra le dita, e io che le ho sentite
    cercavo nella tragica mia vela
    qualche tragica pietà per la mia morte.
    Donna ribelle, donna forse maga,
    avrei voluto farti incantamento
    di amore vero senza più ritorno.”



    Il mio primo sito Web si apriva con una pagina costruita in html in cui queste parole mi descrivevano. Così iniziava la mia strada interiore di commistione tra l’amore per la scrittura e la passione per le nuove tecnologie.
    Le parole che sentivo (che sento, ancora) descrivermi perfettamente sono di Alda Merini.
    A lei che adesso è andata via devo qualcosa.
    Un tributo a una persona scomparsa dovrebbe essere sempre inteso per quello che è: una egoistica manifestazione della perdita di un affetto, un saluto incentrato su quello che si sta perdendo nella consapevolezza che si scrive comunque e sempre per consolare se stessi e non per diventare punto di riferimento per qualcuno, anche se poi la scrittura ha questa dote salvifica: attraverso di essa, nonostante appunto si compia un gesto egoistico, si riesce, a volte, a dare qualcosa agli altri.

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