7.1.13

Chieti - Il maiale sacrificato


A suo tempo ebbi a scrivere sull'uccisione del maiale in un "amarcord" pubblicato su chietiscalo.it, dei tempi andati, di quei tempi che hanno allora riempito la mia giovinezza passata in campagna in quel della Madonna della vittoria. Oggi mi è grato postare un articolo inviatomi dall'amico Luciano sullo stesso argomento, ai giorni nostri.....
" Il maiale è un mammifero domestico onnivoro, che si nutre di tutto, sia di sostanze vegetali che animali. Viene allevato per lo sfruttamento della carne e dei prodotti secondari della macellazione. E’ preferibile la maiala femmina, benché abbia più grasso, ha la carne più buona. La femmina del maiale viene chiamata scrofa se ha avuto almeno un parto. Per il maiale arriva il momento che deve essere sacrificato, fra l’ottavo ed il nono mese. Ci sono tradizioni che vogliono che il maiale debba essere ucciso con la luna crescente, quindi la gobba a ponente. La carne dovrebbe essere più morbida… Il periodo indicato va dal mese di novembre fino alla metà di febbraio, meglio quando fa freddo. Alcuni giornalisti del giornale “ La voce del Quartiere” di Chieti, sono stati invitati il giorno 28 dicembre da un amico, che risiede al quartiere Tricalle, per assistere a questa consuetudine. L’amico, Antonio Pieragostino, coltivatore diretto, ci ha accolti nella sua casa. Il rito inizia alle ore 15. La maiala è di razza Landrace italiana, longilinea, di buona taglia, robusta. Oggi è una delle migliori razze in assoluto. Aveva nove mesi e pesava 2 quintali e mezzo. E’stata nutrita per ingrassare, con cereali misti e ben curata nell’ambiente dove è stata allevata. La carne deve essere eccellente… La maiala non si è resa conto che doveva morire…, è stata legata, appesa ad un albero, che fatica…. Quindi, un colpo deciso… inserendogli un grosso coltello affilato nella vena giugulare, sotto il collo, e… la maiala è morta. Il sangue che esce, una volta veniva usato per fare il sanguinaccio, oggi, oltre alla fatica e agli obblighi di farlo analizzare dal veterinario, non è più apprezzato, quindi viene buttato. Con il gas e il cannello si bruciano le setole, che insieme alle unghie sono le uniche cose che si buttano del maiale. Successivamente la Maiala viene adagiata su un bancone e con una pietra naturale sabbiosa, viene lavata tutta la pelle, infine, con lo ”scortichino”, (coltello molto affilato usato per scorticare gli animali macellati), viene lisciata la pelle e tolti i peli residui. A questo punto la cotenna è liscia e pulita. Intanto, la mano esperta di Aurelio, il figlio di Antonio, ha spaccato il maiale, appeso ad una trave a testa in giù, in due mezzane, nel senso longitudinale, aiutandosi con un coltello ed una sega. Bisogna fare molta attenzione a non tagliare gli organi interni, in particolare non va danneggiata la cistifellea. Va verificato che l'animale non abbia avuto malattie a carico del fegato, dei polmoni, ecc... Per questo bisogna portare al veterinario le interiora che devono poter valutare lo stato di salute del maiale, attraverso l'ispezione degli organi interni. La maiala ora è divisa perfettamente in due parti ed ha le zampe anteriori legate….quasi si tengono per mano…non vogliono separarsi…! Deve restare appeso per due giorni prima di essere sezionata. La sezionatura non è un lavoro semplice, ci vuole competenza e mano ferma. Dal maiale si ricavano: TESTA- GOLA – SPALLA-SPALLOTTO DI LARDO- LARDELLO – PANCETTA-COSCIA ( la parte più pregiata)- OSSA, CODA, UNGHIELLI, SANGUE - LOMBO -ZAMPE – COTENNA- GRASSO - FRATTAGLIE- SETOLE…,  è vero il detto che “del maiale non si butta niente…”! Gli insaccati verranno appesi alle travature in penombra nella cantina, per farli asciugare ed affumicare. Un paio di mesi… E’ quasi ora di cena…Bambina, la moglie di Antonio, certamente avrà preparato piatti gustosi. E’ usanza dopo l’uccisione del maiale cenare… Entriamo nella cucina, molto grande e riscaldata dal focolare. La tavola è apparecchiata con una bella tovaglia. Ci sediamo, Antonio ci invita a bere un vino rosso Montepulciano fermentato, prodotto con la sua uva. Il colore è di un rosso rubino, un sapore di fruttato, un sorso…, si assapora il vino prima di mandarlo giù... E’ dolce, frizzantino, abbastanza su di gradi. Buonissimo. Arrivano i cacionetti, sono grandi, pesanti. Bambina ha usato non la ricetta classica, olio e vino, ma ha impastato la farina con latte, un po’ di lievito, uova. La “pettola”, la sfoglia…, è consistente, non si frantuma in mano…non è friabile, è riempita con marmellata di uva, “ la scrucchiata” e l’aggiunta di mosto cotto impiegato da sempre nella preparazione di dolci tipici, o con cioccolato. Come prima portata, Bambina ha offerto subito la “Pizz' e Fojie (Pizza e Foglie)”, Piatto povero della tradizione contadina. È costituita da una pizza di granturco o ’randinije (che significa letteralmente “grano d’India”, perché importato dalle terre conquistate da Cristoforo Colombo, inizialmente convinto di aver raggiunto le Indie), accompagnata da foglie di cicoria selvatica (‘cascigni’ o ‘cacigni’), molto comuni nei campi abruzzesi. Abbiamo assaporato ora il vino bianco, sempre del vitigno di Antonio. Il colore giallo scuro, con un odore gradevole e sentore di fruttato e secco. Fra poco arriverà il maiale cucinato a “cif e ciaf”. E un modo di dire derivato dal “rumore” che fa la carne quando, durante la cottura in padella, si gira velocemente più volte da una parte e dall’altra. La cottura è veloce, ma ci vuole esperienza. Antonio ha tagliato la carne attorno alla ferita inferta per provocare la morte dello stesso, il guanciale, che Bambina ha cotto magistralmente. La carne non era molto morbida, ma il sapore inconfondibile di un animale prodotto in casa. Il grasso a tocchetti, di colore bianco brunito, bruciacchiato, sotto i denti produceva un effetto ritmato, gustoso, accompagnato con il pane fatto in casa. L’olio era gustoso, perché di produzione propria e per gli aromi aggiunti per la cottura. Avevo messo l’aglio vestito, cioè con la buccia, da parte, ma Antonio mi ha rimproverato. Mi ha suggerito di mangiarlo dando luogo, lui, ad una prova. Ha aperto la buccia e premendo con le dita… ha fatto uscire la polpa cremosa, dal sapore non più di aglio e gustosa. Poi ha mangiato anche la buccia croccante. L’ho seguito… e il risultato è stato talmente positivo che ho recuperato tutti gli spicchi di aglio nella pentola, gustandoli con piacere. Il vino aiutava a mandare giù i bocconi. Un po’ di riposo, ma arriva il pecorino conservato nell’olio, la coppa ormai quasi finita del maiale dell’anno scorso. La frutta di stagione ed ancora i dolci natalizi. Il clima amichevole, il focolare, il vino, l’aver mangiato roba ormai che fa parte di una tradizione che purtroppo va scomparendo, ha confermato un’amicizia che per noi andrà avanti. Intanto, prima di tornare a casa, ho fatto visita alla stalla del maiale vuota. Antonio acquisterà un nuovo maialino che sarà ingrassato e amorevolmente curato fino all’arrivo del successivo mese di Dicembre, quando subirà la stessa sorte del suo simile predecessore.

 
Scritto da: Luciano Pellegrini




Le foto sul link: Il mmaiale sacrificato

6 commenti:

  1. per un attimo sono ritornato indietro in quegli anni, il 1957, allora avevo appena 10 anni ma già accudivo alle "bestie" nella stalla e avevo anche due maiali da nutrire... mi sono rivisto mentre assistevo allo "sgozzamento" dell'animale per recuperarne il sangue e le grida disperate dello stesso sul cippo, mentre veniva taglizzato... scene di una crudezza inimmagiginabile... ma il contadino allora come oggi traeva nutrimento dalla carne dell'animale, "di lu purcelle nzè spreche niente" per lungo tempo...

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  2. I miei nonni erano macellai, ma era un altro mondo rispetto a quello attuale: c'erano dinamiche crudeli, è vero, ma arcaiche, in qualche misura coerenti con l'odine delle cose e gli animali erano sani. Niente di paragonabile ai sistemi odierni di allevamento e macellazione, infatti io per quanto posso m'impegno a non nutrirmi di prodotti animali.

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  3. @Sara

    io avevo, a 10 anni, la responsabilità dei due maiali, nutrirli e pulirli e rifornirli di paglia, che veniva ammonticchiata come letame e riutilizzata per la concimazione biologica.Abitavamo a mezzadria e pertanto uno andava al padrone del fondo e l'altro rimaneva a noi da macellare.Ho partecipato a all'insaccaggio della carne per fare le salsicce e per l'occasione si utilizzavano le budella dell'animale, aromatizzando la carne dello stesso con peperoncino piccante dopo averla triturata. Parte venivano riposte sott'olio d'oliva e riutilizzata mangioando la salsicce crude. Ho dei bei ricordi di quel periodo...

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  4. Una descrizione fin troppo precisa e un po' crudele della fine di un maiale o maiala il cui sapore a me piace molto. Per vari motivi io purtroppo ne devo fsre a meno.

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  5. Ciao Enio e buona serata. Avevo 8 anni quando, per la prima volta, ospite di un mio zio mezzadro, assistetti all'uccisione e alla macellazione di un maiale. Questo racconto, me l'ha fatto rivivere come fosse ora ma senza il "trauma" che provai allora! A quei tempi, quindi 46 anni fa, però il sangue non si buttava. Ci facevano il "sanguinaccio", dolce! Non c'era neanche il veterinario... si affidavano ai contadini anziani! In quanto al "trauma", me lo scordai quando iniziarono a cuocere le prime cotolette di maiale o, mesi dopo, aprirono prosciutto e lonza!!

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  6. ma come hanno fatto a convincerla ad andare sotto l'albero?

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