"Fare le mortadelle in casa, le saviccicc...... " era una tradizione , un'arte, un rito al quale dovevano partecipare tutti i componenti della famiglia. Era il 1957 e io avevo appena dieci anni e mi ricordo che questo lavoro si faceva durante la stagione invernale, da gennaio a febbraio, quando i contadini non avevano grandi cose da fare nei campi, allorchè il maiale, che tenevano dentro il porcile sotto il portico della casa aveva ormai raggiunto il peso ideale. Io ero il responsabile dei maiali in quanto accudivo loro per diversi mesi, nella pulizia e nel dar loro da mangiare.... ah! se mangiavano e in che modo, il nome porco non era niente affatto usurpato. Quando mettevo loro da mangiare, si avventavano nel trogolo entrandovi dentro con i piedi e se questo non fosse stato fissato al pavimento l'avrebbero senz'altro rovesciato. Andavano a mangiare in tre contemporaneamente e con le teste cercavano di tener lontano i compagni di avventura, morsicandoli sulle orecchie e grugnendo ad alta voce. Noi solitamente ne allevavamo tre ogni anno, uno era per il padrone del podere, noi eravamo a mezzadria, un altro veniva venduto e con i soldi ricavati si facevano quelle spese che si potevano fare solo una volta all'anno, un terzo veniva ucciso e la sua carne veniva utilizzata per nutrire la famigliola e parte veniva venduta. Ricordo mio padre che era solito dire: " Occhio guagliò, questi sono come i nostri salvadanai, alla fine dovranno renderci quello che abbiamo speso ( il pastone di tritello - l'odierna farina integrale che compravamo al mulino) più qualcosina di interesse. Ricordo il macellaio che faceva le trattative con papà per comperare il maiale e tirava sempre al ribasso: una volta era troppo grasso, un'altra era troppo magro.... tutti volevano approfittarsi del contadino, lo consideravano un cafone e pertanto poco intelligente e facile da fregare, un pò come fanno oggi con i marocchini che vendono le loro cianfrusaglie nelle strade delle nostre città. In quel tempo io avevo tre maiali da curare e un anno ci capitò una disgrazia, uno di essi rimase paralizzato e trascinava le zampe di dietro. Zì Eugenio di Panzanninte, ogni settimana gli faceva un salasso sui piedi poesteriori nella speranza che tornasse, crescendo, a camminare. Il problema era mio, che dovevo sollevarlo dal di dietro e aiutarlo ad avvicinarsi al trogolo, tenendo lontano gli altri due che altrimenti lo avrebbero sbranato o gli avrebbero impedito di mangiare. Alla fine sono riuscito, senza non pochi sacrifici a farlo diventare di peso e corporatura giusta per essere macellato nell'aia. Ricordo di aver assistito alla sua macellazione e a tante altre macellazioni e di esserne sempre rimasto un pò sconvolto, atterrito, per il modo brutale, crudele, con il quale venivano uccisi. Mio padre non fu mai capace di assistere a detta operazione e quando il macellaio incominciava a sgozzare il maiale e le urla arrivavano fino in cielo, lui scappava in campagna a nascondersi, lontano e tappandosi le orecchie aspettava che le urla cessassero. La scena era terribile, quattro uomini tenevano imprigionato l'animale su un ceppo e il macellaio gli infilava un lungo coltello in gola, mentre mamma raccoglieva il sangue che sgorgava copioso dalla ferita, recuperando fino all'ultima goccia, perchè nulla del maiale andava perduto. Il sangue veniva raccolto ancora caldo e serviva per fare la torta mora, il sanguinaccio. Lo preparava mamma in cucina, aggiungendo al sangue farina, olio, pinoli e uvetta. Questa torta di sangue, mescolata con della frittura di carne, veniva arrostita e mangiata poi con la polenta.... un mangiare da signori.... ripeteva la mia mamma. Mentre lei era intenta a preparare il sanguinaccio, gli uomini sotto il portico, continuavano il loro lavoro. Il maiale dopo essere stato sgozzato, veniva preso e gettato in una grossa tinozza di legno ( la mastella) contenente dell'acqua bollente che serviva a togliere le setole ( i peli ). Quando il porco era ben rasato e ben lavato, veniva legato con la testa in giù e appeso a due pali ben robusti posti in croce, pronto per essere fatto in due pezzi. Generalmente questo lavoro era affidato ad una persona esperta che sapeva il suo mestiere, perchè della bestia non doveva andare sprecato niente. Noi ragazzi, sempre presenti, curiosi, si faceva un sacco di domande su perchè si faceva così, a cosa serviva questo... si assisteva ad una bella lezione di anatomia, credetemi. La carne di maiale veniva messa in un posto fresco della casa per la stagionatura. Noi che non avevamo la cantina, lo tenevamo appeso in cucina e io mi ricordo che ogni volta che andavo alla conca a bere l'acqua con il maniro ( mestolo ) di rame, dovevo distogliere gli occhi da questo enorme corpo appeso, spaccato in due, svuotato delle interiora e messo ad asciugare. Nel frattempo mio padre, andava a comperare della carne di manzo da aggiungere a quella di maiale, altrimenti le mortadelle, le salsicce ( le savicicc ) sarebbero uscite troppo grasse e non buone per la lavorazione. Il giorno destinato per fare le mortadelle era gran festa. Tutti attorno al gran tavolo della cucina, ognuno al suo lavoro: chi tagliava a pezzi la carne, chi la tritava con la macchinetta a manovella, chi preparava gli involucri ( le budella ) per insaccare la pasta, la carne e le spezie odorose. Quando tutto era pronto, la pasta veniva messa in una casseruola di legno, per essere ben mescolata e pestata, quindi veniva scodellata sulla tavola per essere, con una apposita macchina, insaccata dentro le budella. Quando le salsicce erano pronte, legate alla giusta misura, venivano appese a dei lunghi bastoni infilati negli appositi anelli che pendevano dal soffitto della cucina, pronte per la stagionatura. Questo era uno dei companatici principali dei contadini, un gustoso, sano, genuino alimento da mangiare a fette, con del buon pane casereccio unto con olio d'oliva; il tutto accompagnato da un buon boccale di vino rosso, meglio se Montepulciano. ( Pane ont, savicicc e nu bell bicchier di vine rosce )
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noto una certa somiglianza con il mio post in effetti..
RispondiEliminabel post enio..
buona settimana
Sono cose che lasciano il segno, anche io ho assistito alla preparazione del pocheddu sardo e le urla del maiale me le ricordo bene anche se devo dire ha fatto più casino nel farsi acchiappare e bloccare dal contandino che quando lo ha ucciso.
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