5.1.09

I giovani e il mondo degli adulti


Perché i giovani italiani restano a casa fino a trent'anni? Intorno a questo tema ci si interroga (o si polemizza) a seguito di una battuta di un ministro del passato governo, tale Padoa-Schioppa, che li definì «bamboccioni». L'affermazione infelice ebbe se non altro il merito di sollevare alcuni interrogativi su un fenomeno complesso e assai preoccupante oggi in Italia. Ai miei tempi, parlo del 1966, era quasi l'opposto, c'era forte il desiderio di andarsene e vivere le proprie esperienze lontano da casa, magari in una grossa città come Milano. C'è da dire - premetto - che nella nostra cultura italiota il legame con la famiglia è sempre stato molto più forte rispetto a quanto avviene nelle culture del nord Europa, dove c'è la tradizione di una frattura netta, al raggiungimento della maggiore età, con la propria casa. Ma se possiamo parlare di una autogestione completa dei diciottenni è perché lì ricevono ingenti aiuti dallo Stato. Insomma, se gli italiani vivono ancora legati alle sottane di mamma il motivo è molto banale: la vil pecunia. Che altrove i giovani ottengono dallo Stato, sottoforma di incentivi, borse di studio, prestiti d'onore, ma che in Italia mancano o quasi. Quindi non sono soltanto ragioni sociali, come sosteneva il ministro, è spesso una questione economica. All'epoca ci fù una sollevazione popolare da parte dei "bamboccioni" nostrani, perché lui banalizzò una cosa che invece è molto sentita dai nostri pargoli un pò cresciutelli. La famiglia, per questi, non è soltanto un punto di riferimento generale, ma è anche un supporto finanziario ormai fondamentale per permettere loro di mantenere un certo tenore di vita. È vero comunque che ci sono dei casi limite, si sono intervistati, da un giornaleista, degli insegnanti di 45 anni, che pur non avendo problemi di soldi , vivevano ancora con la loro mamma. Questi io li annovero, non già tra i "bamboccioni", ma tra i moderni zitelloni o zitellone che in ogni tempo ci sono sempre stati. Non è che i giovani d'oggi hanno meno coraggio e voglia di mettersi in gioco e che preferiscono vivere al riparo della famiglia, per cui se messi in condizione di decidere non hanno la capacità di rischiare. Ai miei tempi si ambiva tutti al posto fisso, ora le nuove generazioni sanno che dovranno affrontare un mondo dinamico, con contratti spesso interrinali o a termine e vivendo in famiglia non ne sono affatto spaventati.


6 commenti:

  1. Manca la voglia di sacrificarsi: si cerca solo il benessere e non si fatica più per costruire qualcosa. Tutto ciò è più facile ottenerlo se invece di pagare mutui, bollette e spese per i figli, si rimane a lungo nell'albergo "Da Mammà"

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  2. beh, si parla di cinquant'anni fa, i costumi e gli usi cambiano. Il commento di Lorenzo è giusto.

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  3. La crisi degli ideali colpisce anche l'ideale di farsi una famiglia. Ci credono di meno e vivere da soli è molto più scomodo

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  4. più che scomodo, secondo me vivere da soli è più triste: io sarei addirittura un super bamboccione, ma non è tanto un vivere "attaccati alla sottana della madre", quanto più un condividere un appartamento. d'altra parte, nell'italia contadina la casa era quella di famiglia e spesso ci convivevano genitori,nonni figli e nipoti.

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  5. Non è piacevole stare a casa con mamma;la questione è presa con troppa leggerezza.Per carità c'è chi ci marcia sopra ma ce ne sono tantissimi che vorrebbero andarsene ma non possono per disoccupazione o stipendio ridicolo.

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  6. leggendo queste cose o si ride o si piange!

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