Il poeta Eliot cantava: «Aprile è il mese più crudele». Per la Fiat e il Paese Italia è stato marzo a rivelare la sua faccia feroce. Il mercato dell’auto è letteralmente crollato, la casa torinese non andava così male da trentadue anni. Mentre questi dati terribili sulla principale industria italiana andavano in rete, contemporaneamente l’Istat diffondeva numeri da brivido sulla disoccupazione. Il Paese si sta avvitando su se stesso, nessuno, tantomeno Monti col suo famigerato "Governo di Tecnici" ha tirato fuori una ricetta plausibile per uscire dalla palude in cui siamo ormai da anni. Né quella che si considera l’elite, la classe dirigente né i partiti né altre istituzioni pur illuminate, come la Chiesa, hanno indicato una via praticabile per rilanciare il Paese. Perché hanno occhi e mente rivolti al Novecento. È inutile, cara signora Camusso, dire a Marchionne che con la sola Panda non si conquistano fette importanti del mercato automobilistico. Questo lo sanno tutti. Ma il suo mestiere non è quello di scegliere i modelli, né di fare l’amministratore delegato, ma di innovare le relazioni industriali, spiegare ai suoi colleghi della Fiom che così si finisce in panne. Invocare paghe come la Germania, significa essere responsabili come gli operai tedeschi, che sono parte dell’impresa e non antagonisti. Occhi pertanto su come ci muoveremo nei prossimi mesi. La Fiat è un’azienda globale da quando è sbarcata in America, può chiudere in Italia e riaprire all’estero. È una dura realtà difficile da digerire. Fiat è lo specchio della crisi italiana ed europea, è la folle corsa kamikaze di un sistema che non vuole riformarsi. Fiat è la faccia sofferente della produzione non delocalizzata. L’altro volto è quello della disoccupazione crescente. I mercati internazionali osservano grafici con proiezioni iperboliche di quote di giovani e donne in cerca di un lavoro che non c’è. Qui si sta giocando sulla pelle delle persone e ho letto dichiarazioni a raffica da destra, da sinistra e dal centro che sono l’evidente frutto di un’allucinazione collettiva del Palazzo: tutto tornerà come prima. Non hanno capito: niente sarà come prima, basta guardare dove è arrivato il nostro debito pubblico, come ha chiuso ieri la borsa (- 5 %) e a che livello è ritornato lo spread ( 404 ).Siamo in guerra, una guerra di tipo economico e questa volta non ci conquisteranno (Europa) con le bombe o i carri armati ma con il crollo delle borse e con la recessione. I due Super Mario, furbetti del quartierino Europa, avevano cercato di farefessi gli speculatori, prestando soldi a tassi bassissimi alle nostre banche, causa principale della crisi durissima, ma queste hanno reinvestito il tutto in Titoli di Stato invece di rilanciare la produzione e non prestando i soldi hanno condannato alla chiusura centinaia di piccole imprese e mettendo sul lastrico decine di migliaia di lavoratori, buttando l'Italia in una recessione paurosa. I mercati ci stanno massacrando e si riavvicina per noi la situazione Grecia.
enio
@Lorenzo
RispondiEliminama come fai? caxxo che tempismo, nenache il tempo di rileggere il post che zak arriva un tuo commento, portentoso sto WEB, ogni giorno che passa me ne innamoro sempre più.
Secondo me finora si è male interpretato la Costituzione che dice che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro: molti hanno confuso il "lavoro" con il "posto di lavoro". Capisco che questa impostazione abbia fatto la fortuna, e continui a farla, di molti partiti e sindacati e parassitismi vari, ma ha anche semi-distrutto la nostra economia e rovinato le opportunità alle giovani generazioni.
RispondiEliminail fatto sai qual'è? E' che se le banche non compravano i BTP, i caporioni dovevano ricomprarseli e non avrebbero avuto poi i soldi per pagare le pensioni. I caporioni lo sanno quanto sono pericolosi i pensionati affamati, non sono mica come i loro figli bamboccioni.
RispondiEliminaToccherà ai pensionati fare la rivoluzione quando arrivertà la fame, i giovani rincoglioniti da alcool e droghe se ne fottono.
Per quanto riguarda la nostra industria manifatturiera, dovendo competere coi cinesi e gli indiani, potrebbe sopravvivere solo se si tornasse alla liretta, tanto ormai i caporioni e le badanti la valuta pregiata se la so' trasferita già tutta all'estero, non se vede un euro in giro manco a pagallo a peso d'oro.
@Lorenzo
RispondiEliminasei una miniera di informazioni.Grazie.farò tesoro di questa notizia.
@fracatz
RispondiEliminaC'è secondo me quello che io chiamo "il paradosso del mercato del lavoro" nel nostro Paese. Da una parte i giovani restano disoccupati o precari fino a 35-40 anni; dall'altra persiste un'incapacità culturale, che è anche sindacale e politica, ad adeguarsi alle mutate condizioni del mercato del lavoro, della competizione internazionale, della flessibilità imprenditoriale, dell'innovazione anche organizzativa per produrre di più a minor costi, e quindi garantire stipendi più alti e maggiori assunzioni. Quanto sta avvenendo a Pomigliano e a Mirafiori in questi mesi e in questo anno è paradigmatico dello scontro in atto tra vecchio e nuovo, tra difesa cieca e sterile dello «status quo» ed individuazione di strade innovative che garantiscano lavoro, stipendi, buste paga più ricche, assunzioni e un futuro alla presenza industriale nel nostro Paese.
@fracatz
RispondiEliminaSi preferisce sciaguratamente «buttare in politica» la questione, vagheggiando scontri ideologici e di classe da anni Settanta, paventando ricatti e presunti diritti violati, per non voler vedere la realtà. Per non accettare un principio ovvio e scontato. Per non accettare un principio ovvio e scontato in tutto il mondo (tranne in Italia), e cioé che lo stipendio non è una variabile indipendente, ma è intrinsecamente legato e connesso alla produzione: più si produce, più è alto lo stipendio. Meglio si organizza il lavoro, minori sono i costi, e maggiori le possibilità di creare nuovo lavoro e nuovi contratti. Cioè di assumere. Non si capisce, infatti, perché questo funzioni in America, la più grande democrazia al mondo, abbia fatto rinascere l'industria dell'auto a Detroit, abbia portato all'assunzione di migliaia e migliaia di lavoratori e a migliori condizioni salariali, e da noi costituisca una «violazione dei diritti».
Si, è vero, la Fiat vuole essere un'azienda globale, così la prossima volta che dovrò prendermi un'auto, invece di possedere una Fiat per la terza volta, mi globalizzerò anch'io, smettendo di essere una sindacal-parassita.
RispondiEliminaManca la percezione della realtà e credo manchino degli interlocutori veri dei problemi del paese.
RispondiElimina@Sara
RispondiElimina@Kylie
il paese ha bisogno di industrie che producono e che creino nuovi posti di lavoro cercando di attrarre investimenti dall'estero.Ho saputo che l'IKEA impianterà una sua fabbrica in Piemonte portandola lì dall'Asia facendo una cosa impensabile solo pochi giorni fa, una delocalizzazione all'incontrario; l'opposto di quello che fanno oggi gli investitori italiani.