Una volta il cocomero era una sorpresa. E se usciva ”bianco”, come racconta una canzoncina, non c’era da prendersela con nessuno. Soldi buttati e uno ”sfizio” andato a male. Oggi le cose sono diverse. Le catene di montaggio dei consumi, i supermarket, vendono cocomeri a sezioni: tagliati in due o in quattro, e accuratamente incellofanati. Il cliente il cocomero lo preferisce così. Nel quantitativo necessario per la sua famiglia. Ma questo è già un fatto meccanico. L’agricoltura si sta, invece, adeguando alle nuove dimensioni della famiglia tipo. Ricordate quei giganteschi cocomeri da quindici venti chilogrammi? Ormai sono un ricordo, magari un’eccezione. Oggi il cocomero si produce ”a dosi”: famiglie piccole (magari anche ”single”), cocomeri piccoli. Si selezionano con ibridi, si ”pilotano” le dimensioni, quelle che il consumatore vuole. Ma tutto perfettamente genuino. Anche se il cocomero viene innestato su una pianta di zucca. E non è affatto vero che perda il suo sapore. La zucca si usa come base da innesto per una ragione semplicissima: perché in questo modo acquista maggiore resistenza ai parassiti, insomma diventa più forte. Ma il sapore resta quello vero. Insomma è proprio il cocomero, con tutta la sua naturale bontà. Ve l’immaginate un produttore che immette sul mercato roba priva di sapore, ”svenevole” al gusto, quando è il mercato che determina il successo o il fallimento di quell’annata produttiva? Per ogni ettaro di campi a cocomeri il costo si aggira sui cinquemila euro, e se non li recuperi sono guai. Perciò, le zucche col cocomero c’entrano solo per quello che s’è detto, il resto dipende da altri fattori: da un buon innesto, da una buona irrigazione, da una concimazione giusta, da fattori climatici. Quest’anno, per esempio, il caldo potrà avere anche nuociuto a tante colture, ma al cocomero ha fatto bene. Il prodotto ha avuto ”serbevolezza”, come dicono i tecnici, ossia gustosità e fragranza durature, e immediatamente percepibili dal palato. E se qualche produzione è ”uscita bianca”, è dipeso solo dal fatto che la forte domanda di mercato originata proprio dal gran caldo ha ”preteso” che qualche produttore impaziente abbia raccolto prima della maturazione per far cassa. Ma con le zucche questo non c’entra affatto. Il cocomero nostrano ha bisogno di una terra ricca di potassio, ossia capace di sprigionare zucchero. Poi sono arrivati i concorrenti, dalla Grecia, dalla Spagna, magari anche dall’Asia e c’è stata alla produzione una certa disaffezione e un conseguente calo di prodotto. Ma da tre o quattro anni il nostro cocomero si è ripreso alla grande. Quest’anno l’Agro Pontino, la patria di questo dolce frutto, è tornato su ottimi livelli: sono circa duemiladuecento gli ettari messi a coltura, e la resa si è aggirata attorno ai settecento quintali per ettaro. Insomma, il cocomero pontino è tornato ad essere una risorsa. Una risorsa e una squisitezza.
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Ciao Enio. Personalmente, preferisco il cocomero italiano, quello con la buccia tutta verde che una volta trovavamo nei nostri mercati! Molto zuccherino il sapore e, ovviamente, di dimensioni ridotte.... naturali. Poi, arrivarono le angurie americane, quelle da 15-20 chili che citi nel tuo post. Spesso una spremuta d'acqua senza sapore. Dalle mie parti, raramente fanno ancora capolino quelli italiani di cui ti ho parlato e, allora, se li trovo è una gran festa perché, di sicuro, non me lo faccio scappare!
RispondiEliminaCiao Enio e buon proseguimento di fine settimana.
Chissà perchè l'anguria mi ricorda cose del passato? Mia madre non rimaneva mai senza e mio padre di incollava quei frutti pesanti, enormi, buoni, dolci quasi sempre, che vendevano in chioshi stagionali. Io non ne faccio consumo nel timore che faccia ingrassare (ahi noi donne!) e tutto l'anno lo passo con le mele, sempre e solo mele, perchè non amo i medici;)Però ricordo l'usanza del TASSELLO che faceva vedere, come una gastroscopia, l'interno. Non sapevo dell'uso della zucca e penso ad un cugino che era bravissimo nell'arte dell'innesto e alle angurie di mio zio...Più triste la realtà attuale con fette striminzite ed incellofanate. Un abbraccio. danis
RispondiElimina"er cocomero dell'agro Pontimo è er mejio de tutto er monno e a me me piace un sacco".
RispondiEliminaHo pure io nostalgia dei banchi in estate che vendevano qui a Roma, intorno a Piazza Vittorio, ottimo cocomero a fette. Era un rito una sosta lì davanti.
Evviva il cocomero! io e posso però lo compro intero perché costa di meno, cioè lo trovo a 28, 30 centesimi al kg, mentre quello tagliato costa una pozza!
RispondiEliminaCiao Genio condivido il monticiano benche nel veneto la chiamavamo anguia quant'era buona quando la mangiavi lungo le strade isolate sotto un po d'ombra anche se non era ghiacciata era sempre migliore di adesso,
RispondiEliminaciao buona domenica.