10.8.15

Chieti - Catastrofismo dilagante


L'aria che si respira è questa (sempre che si riesca ancora a respirare davanti ad un televisore, siamo prossimi all'asfissia): il paese è smembrato, disgregato, smantellato, in altre parole è allo sfascio, non fanno che ripetercelo come se non ne fossimo già abbastanza consapevoli. La cosa preoccupante è che questo catastrofismo dilagante colpisce anche la categoria dei più giovani. Come se fossero ormai anch'essi una generazione bruciata invece di essere coloro che aprono le porte del futuro. A forza di sentirselo dire, finiranno per bruciarsi davvero sotto i riflettori violenti della ribalta mediatica. Ragionare per categorie non promuove il pensiero, tende a semplificare la realtà, spesso demonizzandola, con il risultato che oggi quando si parla di giovani si tende a fare l'associazione maschi-bulli (siano essi nelle scuole o nelle curve degli stadi), e femmine-veline. La cronaca recente purtroppo sembra confermare questa immagine. L'esito della ricerca annuale sugli adolescenti della Società Italiana di Pediatria non se ne discosta molto. Alla domanda «cosa vuoi fare da grande?», la maggioranza dei maschi ha risposto «calciatore» e per le femmine la risposta più diffusa è stata «diventare un personaggio famoso» (ma non nel senso di vincere un premio Nobel, almeno credo). La seconda risposta, forse ancora più inquietante, è stata «non lo so». Questo «non lo so», più che un dubbio, che sarebbe anche legittimo, assomiglia piuttosto ad un abdicare al futuro, ad una mancanza di capacità di proiettarsi nella società degli adulti, della quale gli adolescenti non si sentono parte. La temono, la disprezzano, talvolta la odiano, quindi si autoemarginano vivendo in un mondo parallelo fittizio dove diventare famosi è la soluzione più facile. 


2 commenti:

  1. la fame a volte fa la differenza
    la fame, come stimolo a mettere qualsiasi cosa sotto i denti

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  2. Lorenzo tu hai centrato il vero problema della situazione giovani in italia. Io le palle le ho avute e sono emigrato nel 67 dal sud a Milano dove ho lavorato per 43 anni andando poi in pensione per gravi motivi di salute. Ho un solo rimpianto se avessi fatto altri 500 KM sono sicuro che avrei fatto la stessa carriera e avrei imparato anche un'altra lingua : il tedesco.

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