Nel 1954 a noi che abitavamo in campagna più che il tasso di colesterolo nel sangue misuravamo i buchi nella cintura. La statura piccola e la magrezza generalizzata furono per un decennio le caratteristiche della popolazione delle nostre campagne. Chi soffriva di gotta era guardato con un misto di commiserazione e di invidia. Di certo lui mangiava carne, soprattutto carne anche se questa era grassa. Adesso, 2009, il cibo non figura più tra le priorità, anzi sono in aumento coloro i quali sono costretti a ricorrere a diete per perdere il sovrappeso. Ora, negli ipermercati si trovano prodotti da tutto il mondo e la cucina "etnica" fa bella mostra accanto alle derrate alimentari del nostro paese. Il riso attiguo al Cus-cus, la carne di montone vicino a quella di... soia. La globalizzazione ha "destagionalizzato" la frutta e la verdura. Tant'è che le ciliegie si mangiano pure a Natale; l'uva si trova a maggio; le zucchine tutto l'anno. In meno di vent'anni, i kiwi della Nuova Zelanda sono diventanti una delle produzioni più prolifiche anche negli orti e nei giardini privati di mezzo mondo. Insomma, per la maggior parte delle persone, il cibo non è più un problema. Pertanto, sembra una leggenda il racconto delle nonne costrette a spremersi le meningi per mettere in tavola qualcosa "per disnàr", o meglio per far quadrare il pranzo con la cena. Fino a cinquant'anni fa si lavorava soprattutto per l'autosostentamento, ovvero per procurarsi il cibo, come avviene ancor oggi nei Paesi del sud del mondo do¬ve la sopravvivenza è una gara quotidiana. Le donne andavano a lavorare a giornata, per ricevere, al ritorno dai campi, una "pinta di latte" o l'equivalente da portare ai figli che attendevano, con ansia, qualcosa da mettere sotto i denti. I piccoli mangiavano in fretta, per paura che i fratelli potessero togliere loro il boccone di bocca. Anche adesso si ha fretta di mangiare. A pranzo si parla di "fast-food", di pasto veloce, perché bisogna correre e le pietanze sembrano in gara con l'orologio. Non si trovano più cibi cotti per ore, lentamente, sulla "piastra de la fornacèll": i minestroni che sapevano di fatica e di amore; le "pinte di latte"; i "tortèlli di patate". La fretta dispone di panini a volontà, tramezzini e pizze; bistecche ai ferri, patate fritte in tre minuti, spaghetti "al dente" (così cuociono prima), purè di patate liofilizzate. E molti cibi precotti e surgelati che si scongelano in cinque minuti con il forno a microonde. Non c'è più tempo per mangiare e neppure per parlare. Ci sono mille attrazioni (dai canali televisivi satellitari a Internet) che tengono occupati anche mentre si trangugia, solitari, un panino. Non si ascoltano più gli altri e neppure se stessi. Impera la solitudine. Tutto questo è accaduto in un soffio, in pochi decenni. Stiamo meglio? Siamo migliori dei nostri poveri vecchi, che erano poveri e faticavano a vivere fin dall’infanzia? Ognuno di noi se lo chiede magari la notte quando, insonne, pianifica il giorno a venire. Ognuno si da una risposta di comodo. Eppure i figli della terra, gli uomini dei campi, che sono poi i nostri padri, vissero brandelli di vita che, riletti con gli occhi di oggi, assumono i toni di una esistenza ordinata. Se vi capita di chiedere a loro, i nostri vecchi, vi diranno che stavano meglio quando stavano peggio. Nel linguaggio di oggi, si accontentavano di poco e gioivano per il ragionevole. Oggi, abbiamo tutti di più e in questa bulimia di possesso s’è smarrita la bussola della semplicità, del nascere e del vivere, dell’invecchiare e del morire secondo le leggi millenarie della natura. E’ a questa bussola, al calendario dimenticato della civiltà contadina che si dovrebbero riportare i giorni e gli avvenimenti perché sono tante le cose che sono cambiate e si sono modificati persino i sostantivi. Per fare qualche esempio di ipocrisia della parola basta ricordare che la polenta è diventato il “pasticcio di mais”; il baccalà “pesce veloce del Baltico”; il contadino “vignaiolo”; l’ubriacone “intenditore di vini”; l’obeso “buongustaio”. Solo i miserabili hanno mantenuto il nome e il peso dei loro reati. Se a rubare è un povero cristo si chiama “ladro”; se lo fa il potente di turno diventa, al massimo, “appropriazione indebita”. Se una disgraziata vende se stessa è una “puttana”; se lo fa una signora perbene è una che “si gode la vita”. E si le cose sono , in questo brevissimo volgere di tempo, veramente cambiate...
14.3.09
Grandi fatiche, pasti frugali
Nel 1954 a noi che abitavamo in campagna più che il tasso di colesterolo nel sangue misuravamo i buchi nella cintura. La statura piccola e la magrezza generalizzata furono per un decennio le caratteristiche della popolazione delle nostre campagne. Chi soffriva di gotta era guardato con un misto di commiserazione e di invidia. Di certo lui mangiava carne, soprattutto carne anche se questa era grassa. Adesso, 2009, il cibo non figura più tra le priorità, anzi sono in aumento coloro i quali sono costretti a ricorrere a diete per perdere il sovrappeso. Ora, negli ipermercati si trovano prodotti da tutto il mondo e la cucina "etnica" fa bella mostra accanto alle derrate alimentari del nostro paese. Il riso attiguo al Cus-cus, la carne di montone vicino a quella di... soia. La globalizzazione ha "destagionalizzato" la frutta e la verdura. Tant'è che le ciliegie si mangiano pure a Natale; l'uva si trova a maggio; le zucchine tutto l'anno. In meno di vent'anni, i kiwi della Nuova Zelanda sono diventanti una delle produzioni più prolifiche anche negli orti e nei giardini privati di mezzo mondo. Insomma, per la maggior parte delle persone, il cibo non è più un problema. Pertanto, sembra una leggenda il racconto delle nonne costrette a spremersi le meningi per mettere in tavola qualcosa "per disnàr", o meglio per far quadrare il pranzo con la cena. Fino a cinquant'anni fa si lavorava soprattutto per l'autosostentamento, ovvero per procurarsi il cibo, come avviene ancor oggi nei Paesi del sud del mondo do¬ve la sopravvivenza è una gara quotidiana. Le donne andavano a lavorare a giornata, per ricevere, al ritorno dai campi, una "pinta di latte" o l'equivalente da portare ai figli che attendevano, con ansia, qualcosa da mettere sotto i denti. I piccoli mangiavano in fretta, per paura che i fratelli potessero togliere loro il boccone di bocca. Anche adesso si ha fretta di mangiare. A pranzo si parla di "fast-food", di pasto veloce, perché bisogna correre e le pietanze sembrano in gara con l'orologio. Non si trovano più cibi cotti per ore, lentamente, sulla "piastra de la fornacèll": i minestroni che sapevano di fatica e di amore; le "pinte di latte"; i "tortèlli di patate". La fretta dispone di panini a volontà, tramezzini e pizze; bistecche ai ferri, patate fritte in tre minuti, spaghetti "al dente" (così cuociono prima), purè di patate liofilizzate. E molti cibi precotti e surgelati che si scongelano in cinque minuti con il forno a microonde. Non c'è più tempo per mangiare e neppure per parlare. Ci sono mille attrazioni (dai canali televisivi satellitari a Internet) che tengono occupati anche mentre si trangugia, solitari, un panino. Non si ascoltano più gli altri e neppure se stessi. Impera la solitudine. Tutto questo è accaduto in un soffio, in pochi decenni. Stiamo meglio? Siamo migliori dei nostri poveri vecchi, che erano poveri e faticavano a vivere fin dall’infanzia? Ognuno di noi se lo chiede magari la notte quando, insonne, pianifica il giorno a venire. Ognuno si da una risposta di comodo. Eppure i figli della terra, gli uomini dei campi, che sono poi i nostri padri, vissero brandelli di vita che, riletti con gli occhi di oggi, assumono i toni di una esistenza ordinata. Se vi capita di chiedere a loro, i nostri vecchi, vi diranno che stavano meglio quando stavano peggio. Nel linguaggio di oggi, si accontentavano di poco e gioivano per il ragionevole. Oggi, abbiamo tutti di più e in questa bulimia di possesso s’è smarrita la bussola della semplicità, del nascere e del vivere, dell’invecchiare e del morire secondo le leggi millenarie della natura. E’ a questa bussola, al calendario dimenticato della civiltà contadina che si dovrebbero riportare i giorni e gli avvenimenti perché sono tante le cose che sono cambiate e si sono modificati persino i sostantivi. Per fare qualche esempio di ipocrisia della parola basta ricordare che la polenta è diventato il “pasticcio di mais”; il baccalà “pesce veloce del Baltico”; il contadino “vignaiolo”; l’ubriacone “intenditore di vini”; l’obeso “buongustaio”. Solo i miserabili hanno mantenuto il nome e il peso dei loro reati. Se a rubare è un povero cristo si chiama “ladro”; se lo fa il potente di turno diventa, al massimo, “appropriazione indebita”. Se una disgraziata vende se stessa è una “puttana”; se lo fa una signora perbene è una che “si gode la vita”. E si le cose sono , in questo brevissimo volgere di tempo, veramente cambiate...
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Mi ricordo che alle elementari un maestro ci disse: "Voi siete fortunati, perché al posto vostro lavoreranno le macchine e voi no".
RispondiEliminaMamma mia come si sbagliava: il progresso tecnologico a portato indubbi vantaggi, ma non una migliore qualità della vita in generale intesa come maggior capacità di spendere il "tempo libero".
Non abbiamo neanche più il tempo di sederci a tavola e mangiare ...
... chi aveva un gatto, bello e grasso, doveva tenerlo dappresso come un congiunto. D'inverno infatti, poteva accadere che all'improvviso sparisse. Passavano i giorni e una sera alcuni bricconi si ritrovavano in casa di uno di loro abanchettare con polente e "coniglio"... e poi l'indomani, a fare miaoooo l'un l'altro sornioni, all'indirizzo dell'infelice quanto incredulo padrone del gatto...
RispondiElimina@xpn
RispondiEliminale macchine sono state introdotte dalla Fiat per controbattere le numerosisssime ore di sciopero che si facevano negli anni 70, quando le condizioni di lavoro in fabbrica era addirittura alienanti come pure gli stipendi e le condizioni di vita..-
è bello leggere i tuoi post..
RispondiEliminala mente mi porta a momenti che non ho avuto la fortuna (o sfortuna, dipende come la si vede) di vivere...
buona settimana
è vero!
RispondiEliminasiamo fortunati, ma nonostante tutto, molto spesso non riusciamo ad essere realmente felici....
^________________^
buon proseguimento
"...Stiamo meglio? Siamo migliori dei nostri poveri vecchi..."
RispondiEliminaDirei proprio di no...
@Franca
RispondiEliminaio che non sono più un "ragazzetto" ho vissuto quegli anni che vanno dal 1947(anno di nasciata)al 1960 (anno del definitivo trasferimento in città ).Mio padre poco più che nalfabeta(terza elementare)ma con una gran voglia d'imparare era riuscito in pochi anni a diventare un muratore specializzato (piastrellista)e lavorando 10 ore al giorno ha assicurato una vita dignitosa a me, mia sorella e mio fratello... portandoci al diploma...
a sentire i racconti dei miei genitori e a leggere il tuo è ovvio che, dal mio punto di vista, non è paragonabile lo stile di vita, le comodità, gli accessori, il cibo di oggi con 30-40 anni fa....
RispondiEliminasono un pro tecnologia ma è anche vero che ormai tutto è veloce...non si parla piu', non si comunica se non con una tastiera e di conseguenza c'è insofferenza e intolleranza......bisognerebbe limitare gli usi e riscoprire la polenta cotta in 2 ore invece che in 3 minuti......