L'Alzheimer in questi ultimi anni, con l'allungarsi della vita, è diventata la malattia dei nostri "vecchi" e diverse famiglie ne fanno prima o poi la conoscenza.Vergogna, paura, disorientamento; un mondo che all'improvviso ti crolla addosso. Solitudine, impotenza, rassegnazione. Ma anche voglia di reagire, di combattere, di non arrendersi a un destino che appare ineluttabile. Ecco cosa succede quando il «signor Alzheimer» bussa alla nostra porta. Il «signor Alzheimer» è oggigiorno la causa più frequente di demenza nelle persone anziane. Dunque, bussa spesso. E non è facile affrontarlo. Non sempre si dispone degli strumenti giusti. Le strutture sanitarie dedicate a questa patologia sono rare, quando non del tutto assenti. Eppure... eppure c’è chi cerca strade nuove, alternative, sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie e dei social network per organizzare reti di protezione, di aiuto reciproco, di sostegno, di scambio di esperienze e conoscenze, di pratiche o semplicemente di emozioni. Attualmente non esiste una terapia risolutiva per questa malattia, che è inesorabilmente progressiva. Esistono farmaci in grado di alleviare i sintomi cognitivi, di ritardare il decadimento funzionale e migliorare la qualità della vita. Nel corso del tempo sono stati proposti numerosi interventi terapeutici di tipo non farmacologico (stimolazione delle risorse mnesiche residue, recupero di esperienze emotivamente piacevoli, ricerca di contatti emotivi con la realtà del paziente, interventi comportamentali ambientali, terapia occupazionale, musicoterapica, aromaterapia, fototerapia …). Io ho la mia mamma, 89 nove anni compiuti a febbraio, in questa situazione, che si è verificata all'improvviso e attualmente stiamo cercando di tenerla con noi a casa, tramite la fattiva collaborazione di mia sorella, che in primis se ne è fatta carico e l'affetto di tutti i famigliari. Di questa malattia in Italia sono ammalate attualmente 600.000 persone. Ad esserne colpite sono in particolar modo donne, ma anche uomini. Sta ormai diventando la malattia del secolo. Le strutture sono poche, i posti disponibili nei centri Alzheimer sono troppo pochi rispetto alla richiesta e alle reali necessità; sono moltissimi i caregivers che si prendono cura autonomamente o con l’aiuto di badanti dei propri cari e sopratutto i costi sono altissimi.
@nonnoenio
l termine anglosassone “caregiver“, è entrato ormai stabilmente nell’uso comune; indica “colui che si prende cura” e si riferisce naturalmente a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile. Sarebbe importante non lasciarli da soli... spesse volte la cure dei pazienti non sono sufficienti, questi "malati" avrebbero la necessità di stare insieme e cercare di socializzare un pò tra loro
RispondiEliminaVivere quotidianamente accanto ad un malato di Alzheimer ti mette duramente alla prova. A volte ti senti incapace, inadeguato a far fronte alle difficoltà che la malattia ti prospetta. Non siamo «nati imparati» per affrontare una malattia così particolare, a volte, nemmeno gli specialisti, anzi, spesso proprio loro, non sanno darti delle risposte! Confrontarsi giornalmente con l’Alzheimer può darti tanta sofferenza, tante frustrazioni ma se sappiamo coglierli, anche nella malattia ci sono aspetti positivi, e per ognuno di noi c’è anche un grande arricchimento.
RispondiEliminaSono di ritorno finalmente e sento che il signor Alzheimer ha bussato alla tua porta. Mi dispiace.
RispondiEliminaMa è confortante leggere che molto si sta cercando di fare per arginare almeno in parte gli effetti di questa malattia.
post chiaro, condivido il tuo pensiero e anche la tua esperienza... importante sì, la vicinanza alla persone malata cercare di non farle perdere le residue facoltà cognitive, importante aiutare affettivamente e concretamente anche il/la care giver che più risente del cambiamento del familiare.. In attesa che aumentino, come dici tu, i centri specializzati.
RispondiEliminaTanti auguri Enio!
E' molto triste assistere al decadimento mentale di una persona a cui vuoi bene
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