Finalmente se ne sono accorti. Fare i gradassi con il resto del mondo può far guadagnare qualche consenso in termini di voti e nei sondaggi, ma alla fine produce tali sconquassi finanziari da far tremare i polsi. Battere i pugni in economia non è la stessa cosa che far la voce grossa su sbarchi, sicurezza ed immigrazione. In un mercato globalizzato dove le scelte vengono fatte da investitori internazionali e mondo finanziario (e spesso sono scelte speculative), puntare l’indice contro la Merkel o Bruxelles in nome dell’italianità equivale a fare come quello stolto che di fronte al saggio che gli indicava la luna, lui guardava il dito. Le parole in libertà ci sono già costate 145 miliardi di euro di ricchezza nazionale: quanto dieci manovre. Con quei soldi si potevano fare altro che reddito di cittadinanza e quota 100: bastava stare più zitti ed agire con gradualità. Con un debito pubblico record (siamo al limite della bancarotta) ed una bassa produttività, giocare con i numeri non si può. E alzare il livello dello scontro con l’Ue (per capitalizzare alle elezioni europee il rancore che si va creando) ci porta sul dirupo. Anche perché di questo passo alle elezioni di primavera rischiamo di arrivarci con tassi e mutui in crescita e con un’immagine internazionale che si riflette sulle aste dei Btp, sempre meno brillanti. Di conseguenza con un sistema bancario in difficoltà che non riesce più a sostenere la crescita delle imprese e a prestare soldi alle famiglie. E allora dall’urna potrebbe uscire anche qualche delusione. Per fortuna le dichiarazioni degli ultimi giorni sono state più sfumate sulla manovra e sui conti pubblici. Dai toni sprezzanti si è passati a quelli concilianti con le istituzioni europee, come ha confermato ieri il premier Conte al termine dell’incontro con il presidente della Commissione Ue. Giova ripetere che non siamo tra i difensori ad ogni costo di quest’Europa. La Comunità dei burocrati e degli egoismi va cambiata, ma le spallate producono solo macerie. Al Nord i cittadini sono costretti a scendere in strada in favore delle infrastrutture. Le categorie meno propense allo scontro, come i medici ospedalieri, debbono scioperare. È l’Italia produttiva, quella che si alza presto al mattino per andare al lavoro, quella che ogni giorno fa imprenditoria e crea occupazione, quella delle partite Iva strozzate da fisco e burocrazia, che ora alza la voce. È l’Italia dei moderati, che sindaci e governatori ascoltano, ma il cui grido a Roma sembra, a torto, flebile.
@enio
La qualità della vita non si migliora solo con criteri economici. Il ceto medio basso è mortificato da anni.
RispondiEliminaNon se ne può proprio più di questi signori che hanno governato e governano questa italietta. Tutti uguali, tutti si comportano alla stessa maniere, tutti ladri. La Lega Nord ha rubato 49 milioni, La Cassazione: «Sequestrare anche i soldi di oggi» Per il «principio della irrilevanza della provenienza del denaro», nei procedimenti di confisca, sono da sottoporre a sequestro «quale profitto del reato» anche le somme che lecitamente finiscono nelle casse della Lega come i «contributi erogati, da soggetti privati, in conformità alla normativa del finanziamento dei partiti politici». Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni, depositate oggi, relative all’udienza svoltasi lo scorso nove novembre e conclusasi con il rigetto del ricorso presentato da Matteo Salvini - in qualità di segretario della Lega - contro l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Genova, il cinque settembre, aveva confermato il sequestro fino a 49 milioni di euro ovunque trovati sui conti o nelle casse del Carroccio nell’ambito del procedimento per la maxitruffa dei rimborsi elettorali. Salvini è stato anche condannato a pagare le spese processuali, come si legge nella sentenza 53942. Per la maxitruffa, sono stati condannati in primo e secondo grado l’ex segretario e fondatore della Lega Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito.
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