12.3.10

Bad Job - Lavoro Cattivo !


Quand'è che il lavoro diventa bad job? Analizzando alcune fasce di giovani lavoratori atipici, potenzialmente condannati a carriere discontinue, nelle quali periodi di disoccupazione più o meno lunghi si alterneranno ad impieghi di durata limitata. Per questi lavoratori ciò comportava e comporta a maggior ragione oggi in tempo di crisi, il rischio di esiti di carriere frammentate, periodi frequenti di disoccupazione e basse retribuzioni. A stipendi ridotti, inoltre, corrispondono pensioni del tutto inadeguate. La quota di lavoro con queste caratteristiche negli ultimi anni è cresciuta rapidamente in tutti i paesi europei, ma non sempre, fortunatamente con esiti negativi. Infatti, in situazioni di mercato dinamico ed in crescita, il turn-over è veloce ed il passaggio da una occupazione all'altra è rapido e non comporta lunghi periodi di inattività per il lavoratore. In Italia non è così. La questione cruciale, per paesi come l'Italia, era, ed è, quella di ottenere uno sviluppo occupazionale solido, senza i costi economici e sociali che troppo spesso si associano alla flessibilità del mercato del lavoro. Innanzitutto è utile distinguere tra lavoro tipico e lavoro atipico. Nel linguaggio comune quando parliamo di lavoro atipico ci riferiamo generalmente a contratti e rapporti di lavoro parasubordinato. Atipicità, flessibilità e precarietà sono termini entrati ormai nel lessico e usati disinvoltamente come sinonimi ma non è affatto così. È importante ricordare che la flessibilità riguarda il rapporto di lavoro, mentre la sicurezza e la precarietà riguardano il lavoratore. Un lavoratore flessibile non è necessariamente un lavoratore precario, in quanto la flessibilità non implica necessariamente precarietà. Il concetto di flessibilità ha a che fare con la variabile numerica dell'orario e quella salariale della forza lavoro, con la sua adattabilità funzionale e con l'esternalizzazione delle mansioni. La precarietà è invece il rischio per il lavoratore di non riuscire a provvedere nel medio periodo al proprio sostentamento attraverso il mercato del lavoro o la protezione sociale, la precarietà dipende quindi dalla stabilità dei rapporti di lavoro, intesa come continuità formale o sostanziale della condizione di occupato, dal salario e dalle tutele sociali. La flessibilità può ingenerare la precarietà? Certo. Ma la possibilità che la flessibilità influenzi la precarietà dipende da come i contratti atipici, lo strumento attraverso il quale la flessibilità è stata introdotta in Italia, incidono sull'occupabilità degli individui, sulla durata e la frequenza della disoccupazione, sulla partecipazione al mercato del lavoro, sulle retribuzioni e sull'accesso alla protezione sociale. I lavoratori atipici sono dunque più precari dei lavoratori tipici solo se le loro carriere sono più discontinue e nel caso in cui l'eventuale maggiore discontinuità non è compensata né da retribuzioni maggiori, ricevute durante i periodi di lavoro, né da adeguati schemi di mantenimento del reddito. È questo il caso italiano ma non europeo. Il problema vero pertanto è la continuità occupazionale, che è continuità del livello delle retribuzioni e, conseguentemente, un adeguato livello di protezione sociale. I giovani chiedono questo, non il posto fisso, ma la sicurezza di un posto di lavoro che dia stabilità alla loro vita lavorativa e familiare e che sia associato ad un adeguato sistema di protezione sociale. E allora, non parliamo più di posto fisso ma di posto sicuro, necessariamente accompagnato però a un sistema di protezione sociale che sposti il baricentro dai rischi tradizionali (vecchiaia etc) a quelli del lavoro flessibile (disoccupazione etc), e possa fronteggiarli con successo, generando fiducia ed innalzando il livello di benessere collettivo (il cosiddetto well-being).

7 commenti:

  1. Bad Job quando c'è mobbing senza dubbio. Bad Job anche quando si lavora nelle condizioni in cui siamo ridotti all'università..

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  2. I giovani si trovano di fronte a gravi difficoltà non solo di natura economica ma anche e direi soprattutto di natura psicologica. L'incertezza del lavoro genera ansia e insicurezze. Bisognerebbe fare assolutamente qualcosa per eliminare queste anomalie di un sistema economico che genera mostri.

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  3. Il tragico problema del "lavoro cattivo" che tu hai così ben descritto in questo tuo post mette giovani e meno giovani di oggi di fronte ad un futuro molto incerto.
    Io ormai conto niente o quasi, ma per restare nel mio ambito familiare, che speranze hanno le mie nipoti?

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  4. Bad job è quando i soldi che pigli non sono commisurati alle rotture di cazzo che subisci.

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  5. invece andiamo incontro ad una "falsa" ripresa senza occupazione ....

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  6. Lavoratrice atipica, precaria, sfruttata e disgregata... chiamateci come vi pare.
    E ho 30 anni.
    Sono laureata e ho un master alle spalle.
    Tutto ciò è molto molto molto triste.

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  7. @Calzino

    Tutto ciò dipende anche dalla tua dislocazione geografica sul territorio. Io per avere un minimo di possibilità di mettere a frutto anni e anni di studio sono emigrato dal mio adorato orticello in Abruzzo stabilendomi per oltre 38 anni a Milano. Non ho soddisfatto tutte le mi ambizioni ma ho fatto almeno un lavoro che mi ha gratificato e tenuto vivo per tutti questi anni. E' importante fare un lavoro che ti piace (io ho lavorato in un laboratorio Quality Assurance)e io ci sono riuscito e quello che più mi ha gratificato è stato il contatto con altri "cervelli" con cui confrontare il mio modo di vedere le cose senza dover dire "mi dispiace".Ai miei tempi non era permesso a nessuno neanche pensare di poter fare il "bamboccione", i soldi della famiglia bastavano a mala pena per i libri e per laurearmi mi sono dovuto "arrangiare", lontano da casa e con qualsiasi tipo di lavoro... allora gli extracomunitari eravamo noi! per cinque anni almeno...

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